CAMINO DE SANTIAGO 2010

VIGILIA DI UNA NUOVA PARTENZA.

Mancano poche ore alla partenza per Saint Jean Pied-de-Port, il paesino francese ai piedi dei Pirenei da dove prenderà l’avvio un’altra avventura in bici con destinazione Santiago de Compostela, la città spagnola meta di pellegrinaggio di cristiani da secoli e secoli e mia meta da qualche anno in qua, da quando nel 2004 fui indotto da Armando a provare
l’ebbrezza di ottocento e passa chilometri a cavallo di una mountain bike, portandoci
appresso qualche chilo di bagaglio e il dubbio se saremmo arrivati a Santiago.
Ce la facemmo quell’anno, tornammo a Santiago l’anno successivo partendo però da sud,
dalla calda Siviglia, poi, con nuovi compagni, ritornai sul cammino classico nel 2007,
sempre provando lo stesso entusiasmo che anche oggi mi porta ad affrontare l’incognita di
una dozzina di giorni in bici con scarso allenamento nelle gambe e compagni di pedalate
dai quali temo di essere lasciato indietro ogni volta che la strada prenderà a salire.
Ma ormai non è più tempo per ripensamenti, alle sei si va, confidiamo nell’amico San Giacu
che già tre anni fa fu sensibile alle mie invocazioni e allontanò dalla nostra strada la pioggia
che da giorni perseguitava i pellegrini lungo il Camino. Anche in questi giorni piove, qui
come sulla Francia – disastrosa piene nel sud – e neppure la Spagna ne è immune: il
meteo, a giugno, da quelle parti prevede caldo e sole, li aspettiamo fiduciosi.
Buon viaggio.

19 giugno. ESTELLA.

Son qui, seduto sugli scalini che portano al secondo piano dell’albergue del pellegrino dove
siamo di stanza, stasera, sabato, e sono le dieci e mezza, mentre nelle camerate tutto
e` silenzio, i pellegrini dormono, volenti o nolenti dormono!
Abbiamo lasciato il ristorante pressati dalla necessità di rientrare entro le dieci, giacché
l’orario è rigidissimo, un occhio a|l’orologio e uno al piatto di spaghetti, mentre intorno a
noi giovani e anziani, spagnoli, non pellegrini, consumano tranquillamente il rito
dell’aperitivo serale.
Qui invece la gente ronfa, le luci sono spente, salvo quelle dei bagni e quelle delle scale,
ma come si fa a dormire a quest’ora? Eppure questa è la regola, ieri sera eravamo in
sette a Trinidad de Arre, vicino a Pamplona, quattro di noi, eppure il gestore, forse un
prete, ha voluto che fossimo dentro la “prigione” alle nove e mezza.
Dopo qualche trattativa, siamo arrivati all’accordo per le dieci, sarebbe stato impossibile
rientrare per quell’ora, siamo arrivati all’albergue alle sette e mezza, il tempo di sistemarci
e farci una doccia e cenare… dopo una giornata di acqua e freddo perché dover far le
corse?
Venerdì mattina la pioggia ci ha salutati fin dalla partenza da Saint Jean Pied-de-Port,
Pirenei francesi, continua e fastidiosa, per tutta la durissima salita fino al passo da dove
inizia la discesa verso Roncisvalle, primo centro sul cammino in Spagna.
Fango, nebbia, vestiti bagnati, all’una di pomeriggio una modesta panaderia a Burguete ci
è sembrata non un rifugio dignitoso ma un ristorante di lusso, dove azzannare una
baguette con prosciutto crudo prima di un the caldo a riscaldarmi e a rimettermi sulla
strada verso Pamplona.
Pomeriggio meno difficile, un timido sole a fare capolino tra nuvoloni neri in viaggio sulla
Navarra, la regione a sud dei Pirenei, e poi l’approdo all’albergue di Trinidad de Arre già
conosciuto in occasione del primo cammino del 2004.
Oggi la giornata è iniziata sotto cattivi auspici, di nuovo pioggerellina, a Pamplona sono
stato costretto ad indossare il pile che non ero neppur convinto di portare con me, poi,
dopo la salita all’Alto del Perdon, dove, secondo la leggenda, le stelle incontrano il vento,
è cambiato il tempo, il sole è diventato più audace, le nuvole nere messe alle spalle, la
strada asciutta, il grano maturo al nostro fianco ci hanno dato il giusto conforto per
arrivare ad Estella, anche questa una cittadina che ci accolse già sei anni orsono.
Dalla finestra della camerata – sedici letti a castello – si vede la cattedrale, imponente come
tutte le chiese di Spagna, le luci della strada sotto di noi, deserta, mi permetteranno un
comodo approdo al letto, dove tra poco mi infilerò nel sacco lenzuolo, per un sonno che
durerà fino alle sei di domattina.
A quell’ora tutti in piedi: l’orario di colazione dalle sei alle sette, si deve lasciare l’albergue
alle sette di mattina.
L’incubo è appena iniziato…

20 giugno. NAJERA.

Ieri sugli scalini, stasera su una sedia, nella zona cessi!
Questo è costretto a fare tm pellegrino che non vuole andare a letto alle dieci.
Già, a Najera, paese di cicogne sui campanili e sulle falesie che sovrastano la cittadina in cui siamo
arrivati, la regola è ferrea: alle dieci tutti dentro, nella camerata da novanta posti, i gestori sono
inflessibili, loro stanno mangiando quando noi andiamo a letto, ma per scrivere o leggere o stare a
digerire una cena divorata in un quarto d’ora, devi stare in bagno, unico angolo dove non devi dormire per forza.
Da Estella a qui abbiamo fatto oltre ottanta chilometri in una regione in cui dominano i vigneti e
quindi il vino.
Meno male, ché oggi ci siamo avvinazzati per bene, complice il freddo pungente che ci accompagna
da tre giorni e che in mattinata ha assunto le sembianze di un vento gelido che sferza i pellegrini
senza pietà.
Rioja è il nome della regione e Rioja il nome del vino, un rosso da 13 gradi, bevuto a mezzogiorno
e alle quattro di pomeriggio, con merenda a base di salsiccia.
A mezzogiorno a Viana, sulla piazza davanti la chiesa, con l’orchestra a suonare pezzi di Sinatra e
della tradizione spagnola, mentre un mondo variegato di abitanti del paese si gustano l’aperitivo
domenicale: bimbi in fasce, vecchiette in abito da festa, bimbi giocherelloni, famiglie intere con i
nonni, tutti sulla piazza a fare salotto, mentre la musica va e noi pellegrini andiamo verso Logrono.
Qui una festa della Madonna del Rosario rischia di distoglierci dal nostro obiettivo: le patate con
salsiccia ci inducono in tentazione, sono le quattro di pomeriggio, però c’è coda per avere la
razione di questo che appare come un vero ben di dio e a malincuore scappiamo oltre per
approdare qui a Najera, nell’albergue sul lungofiume.
Ritirata alle dieci, alle nove e un quarto non abbiamo ancora iniziato a mangiare, il locale scelto
serve apericena a gogò, quando hanno tempo servono anche noi.
Stasera il vino l’offro io: a merenda, davanti alla tv che trasmetteva Nuova Zelanda – Italia ( in
Piemonte mi dicono che c’è stata censura…), ho promesso ai miei compagni di viaggio il vino se la
squadra neozelandese non avesse perso. Grazie alla banda di brocchi travestiti da italiani, ho dovuto
spendere un casino di soldi!

21 giugno. SAN JUAN DE ORTEGA.

Sette di sera, finalmente per la scrittura di queste righe non sono costretto in ambiti indecorosi per
uno …scrittore!
Ai 1.000 metri di San Juan de Ortega, sul piazzale del monastero splende il sole della Castiglia, la
facciata illuminata dai raggi di un sole che qui è ancora alto, il cielo che non avevamo ancora visto
così azzurro.
Il pellegrino che qui dorme viene accolto da una sopa de ajo che riscalda i cuori più che non i
corpi, ché oggi nel pomeriggio il caldo ci ha accompagnati fin da quando abbiamo lasciato
Belorado, punto di accesso ai Montes de Oca, la catena montuosa che immette sull’altopiano che
percorreremo nei prossimi giorni tra Burgos e Leon.
C’è tanto, tanto verde nel paesaggio di questa giornata, via via che ci stacchiamo da Najera e le sue
cicogne.
Strade bianche, diritte, a perdita d’occhio, a correre in mezzo a campi di grano che raramente
trova maturo (il freddo si è fatto sentire qui), orzo, segala; dalla cima di una collina ci si ferma a
contemplare panorami dove i colori della natura hanno l’esclusiva fino all’orizzonte.
A San Domingo della Calzada mattinata di shopping: “fratel Sandro”, come ormai viene chiamato
Sandro, a causa della sua ossessiva ricerca di chiese da visitare, fa i capricci e si ferma in un
negozio di articoli da bici per sostituire i borsoni dentro i quali trasporta le sue cose per queste due
settimane, Armando ne approfitta per buttare le vecchie scarpe, io compero quel che i miei
compagni definiranno un “culo di riserva”, un coprisella ripieno di gel per salvare il soprassella
(sarebbe volgare definirlo semplicemente culo), messo a dura prova dalle sollecitazioni che strade
sconnesse provocano in continuazione.
Il pranzo mentre il sole si impossessa del cielo, vino bianco, assistiamo al lavoro di un addetto alle
pulizie della piazza sulla quale nella mattinata si e` tenuto il mercato, il quale, con un marchingegno
rumorosissimo e puzzolente, sposta polvere e immondizia senza raccoglierne mai: così si pulisce la
piazza di Belorado.
E’ dura la strada che ci porta alla meta odierna, ma il posto è molto suggestivo e il sole che non è
ancora scomparso quando ci dobbiamo infilare sotto le coperte ci fa ben sperare per le giornate
successive.

22 giugno. ITERO DE LA VEGA.

Saremmo voluti andare a dormire a S.Nicolas, dove sei anni fa incontrammo Franco, l’hospitalero
fiorentino col quale passammo una serata intensa, fatta di poche grandi cose, tra una bottiglia di
vino e risate sconclusionate, dopo un piatto di spaghetti cucinato per noi in quell’eremo sperduto
sull’altopiano, ma così ospitale.
Invece, stavolta non c’è posto – sorri, come sta scritto sul portone d’ingresso – Franco non fa più
parte della confraternita e l’hospitalero è un ragazzone straniero col quale scambiamo poche parole,
chiedendo di vedere le schede che compilammo sei anni orsono in occasione del primo passaggio
da queste parti e che ci riportano alla prima grande esperienza da pellegrini sul cammino di
Santiago.
è piena di ricordi, per me e per Armando, la strada di questi giorni, piccoli particolari di per sé
insignificanti assumono per noi il significato di un tuffo nel passato, l’incontro con un pellegrino
italiano, uno scambio di battute col nostro compagno di viaggio di allora, la ricerca di olio per una
riparazione di fortuna in un paesino immerso nella calura, guidati dai colpi di martello su
un’incudine…
Sole fin dal mattino, ma la discesa da S.Juan de Ortega mi congela le dita, fa un freddo assurdo,
scendiamo a Burgos e fa ancora freddo, una morcilla – via di mezzo tra un salame e un cotechino,
specialità locale – sulla piazza davanti la cattedrale mentre faccio la guardia alle bici che i miei
compagni hanno abbandonato per visitare la cattedrale.
E nel pomeriggio si sale Matamulas, la salita da paura che ci terrorizzò sei anni fa e che ora ci
mangiamo senza pensarci su troppo. Sandro arriva per primo e torna indietro per avere una foto, di
lui vedo solo sempre le spalle, è sempre davanti, ma alla fine tutti dormiamo sotto lo stesso tetto,
anche se qualcuno è stravolto, o quasi, dalla fatica e qualcun altro manco suda!
I saliscendi dopo Burgos hanno sempre un grande fascino, campi di grano, papaveri, cielo, tralicci
della linea elettrica che paiono sostenere l’azzurro senza una nuvola che non smette di starci sopra
per tutta la giornata.
Colori, colori, colori…
La sera un albergue de peregrinos senza la regola della chiusura alle dieci, un buon vino bianco ad
innaffiare spaghetti cucinati da noi, ci chiediamo se sia normale che si torni a casa ingrassati, dopo
una vacanza da ..sportivi (della forchetta).

23 giugno. MANSILLA DE LAS MULAS.

Centodieci chilometri da Itero de la Vega fin qui!
Non finiva più questa giornata in sella alla bici, sempre ad un’altitudine tra 750 e 950
metri, dapprima lungo il canale di Castiglia, un lungo canale artificiale che serve a portare
acqua a campagne fertili in mezzo alle quali, di tanto in tanto, si stagliano campanili che
preludono a paesini quasi deserti, nei quali passiamo senza vedere anima viva.
Non c’è molta gente lungo il cammino, abbondano però cicogne e rondini, le prime a
sorvegliare dall’alto delle torri e dei campanili, le seconde a volteggiare senza sosta,
macchie nere sul blu del cielo, come dalle nostre parti non siamo ormai più abituati a
vedere e che al contrario qui riempiono gli occhi pellegrini e curiosi.
La bici saltella come un canguro su queste strade (“saltellando insieme a te, Toro,
Toro…” , mi manca di già…), la polvere ricopre in fretta i polpacci, si beve spesso, dopo
giorni di freddo il tepore del caldo ci riempie di felicità.
E’ un percorso privo di spunti particolari quello odierno, tanta strada bianca, a destra, in
lontananza il profilo seghettato della catena dei monti Cantabrici che ci fa da scorta finché
nel tardo pomeriggio non cominciamo a vedere davanti a noi le montagne che ci
attendono nel prossimi giorni e che ci dividono da Santiago.
E’ per portarci il più avanti possibile che oggi ci siamo fatti tutti questi chilometri, la strada
è stata sempre pianeggiante, priva di asperità, cionostante, alle sette, l’arrivo alla meta è
stato accolto con sollievo e non abbiamo esitato a scegliere il primo albergue che si è
parato davanti ai nostri occhi, avendone in cambio un’accoglienza squisita.
Mentre divoriamo il nostro menù del pellegrino ci chiediamo se saranno arrivati a
destinazione i pellegrini a piedi che barcollavano esausti a qualche chilometro da qui…

24 giugno. EL GANSO.

In questa località che definire paese è un eufemismo – quattro gatti e quattro pellegrini –
ho avuto il sommo piacere di poter offrire la cena ai miei tre compagni dl viaggio.
Mi e` costata cara,venticinque euri, ma ne è valsa la pena. Avevo promesso che avrei
pagato la cena la sera che la nazionale italiana avesse lasciato il Sudafrica, ma non osavo
sperare che succedesse così presto!
Invece siamo andati aldilà delle più ottimistiche previsioni e la notizia che la fortissima
nazionale di calcio della Slovacchia ha spedito a casa la nazionale italiana campione del
mondo (di culo..) del 2006 mi ha accolto all’arrivo qui a El Ganso.
Arrivavamo da una giornata di pedalate intensa ma non faticosa come quella di ieri.
Leon, già capitale della Spagna,con la sua cattedrale dalle vetrate meravigliosamente
colorate, immersa nella quiete mattutina del dì della festa – si celebra il santo patrono,
Giovanni Battista – , Hospital de Orbigo e la processione che alle due del pomeriggio fa
sfilare sotto il sole vecchiette a rischio della loro incolumità, uniche persone riparate dai
raggi del sole i due anziani preti che reggono i simboli della festa; Astorga e la sua
cattedrale (tanto per cambiare…) e il palazzo vescovile.
Poi abbiamo iniziato a salire verso le montagne che da domani affronteremo negli ultimi
giorni del cammino verso Santiago de Compostela, ormai distante solo duecentoquaranta
chilometri.
Ah, devo precisare che la cena non mi è costata molto: venticinque euri è il totale
generale. Grazie ancora, SLOVACCHIA!

25 giugno. CACABELOS.

Stiamo aspettando che ci accolgano nell’albergue de peregrinos dove abbiamo deciso di pernottare:
fino alle sei di sera l’accesso è riservato ai pellegrini che arrivano a piedi e anche se in tutto
il pomeriggio noi non ne abbiamo superati più di una decina che teoricamente potrebbero arrivare
fin quà, la ragazza dell’accoglienza è inflessibile e quindi tocca aspettare.
Non siamo stanchissimi, benché oggi si sia saliti fino ai 1.450 della Cruz de Ferro, che
rappresentano il punto più alto del cammino. Lì è d’uso lasciare una pietra o un ricordo qualsiasi,a
testimonianza del proprio passaggio, la croce è sempre più addobbata di biglietti, foto, da stamane
c’è anche una tessera del Pedale Poirinese, lasciatavi da Sandro.
La discesa da lassù è stata tanto dura quanto la salita,ripida, lastricata di pietre, stretta,
lunghissima,ma è una difficoltà dalla quale non si può prescindere e colla quale ci si deve
confrontare ogni volta, benché crediamo non siano in molti a resistere alla tentazione di optare per
la più semplice strada statale che porta a Molinaseca,al fondo della discesa.
Paesini di montagna lassù in alto, case pittoresche in pietra, pochi abitanti, un bar davanti al quale
sostano pellegrini delle più svariate nazionalità, uniti dall’unico obiettivo che è arrivare a Santiago.
Per noi, ormai mancano meno di duecento chilometri, siamo vicini alla meta, programmiamo le
tappe in funzione delle specialità gastronomiche che sappiamo essere caratteristiche dei paesi che
attraverseremo da qui a Santiago!

29 giugno. SANTIAGO.

E così ancora una volta sono a Santiago de Compostela!
L’emozione di rivedere la cattedrale è ancora forte, nonostante sia ormai un’esperienza vissuta tante
volte, quella magia che i segni del tempo esaltano, le luci della sera, gli uccelli che volano intorno
alle guglie nel cielo nero, due passi per le viuzze affollate di giovani col clima finalmente caldo,
mentre nel resto della Spagna il maltempo non molla.
Stavolta è stata più dura del solito per me: una compagnia difficile, ciclisticamente parlando,
troppo più veloci, scarso allenamento, anni che passano, clima sfavorevole, insomma…
Gli ultimi giorni sono stati impegnativi, venerdì a Cacabelos, sabato a Triacastela, domenica a
Melide, dopo tappe lunghe, complicate dalla pioggia o dal caldo o dalla lunghezza, il solito
resoconto è passato in cavalleria di fronte alla necessità di recuperare energie in vista
dell’indomani, ora, in attesa della messa del pellegrino, a mezzogiorno, in cattedrale, due righe.
A Cacabelos ho rivisto Ubaldo, anzi il figlio di Ubaldo, il gestore della Meson Ubaldo, la pulperìa
dove già tre anni fa mangiammo pulpo alla galiziana, con abbondante vino bianco; ci siamo
riconosciuti, sembra che in parecchi si ricordino di me, anche la signora dell’albergue di Triacastela
ha rammentato 1’incontro passato, poi a Melide il titolare della pulperìa che è diventato un
appuntamento fisso sulla strada per Santiago, ci ha offerto caffè e digestivo in quanto clienti
abituali.
E il pulpo alla galiziana ha sempre il suo perché, il vino bianco che lo accompagna va giù che è un
piacere, beviamo aldilà delle nostre abitudini, mangiamo altrettanto, ma si smaltisce in fretta, pronti
ogni mattina a ricominciare con quello che sembra essere diventato un lavoro.
Ora si riparte, nel pomeriggio, per raggiungere Fisterra, o Finisterre, là dove, per gli europei, finiva
il mondo prima della scoperta dell’America: laggiù ci libereremo del superfluo, i miei pantaloncini
da bici ormai hanno più buchi di una groviera, anche le scarpe potrebbero finire giù
nell’Atlantico…
La bici no, quella no, fedele compagna di quattro arrivi a Santiago, merita di tornare a casa,
martoriata da 860 chilometri tra polvere e fango e acqua, inzaccherata dallo sterco di mucca
sollevato al passaggio nelle stradine dei paesini della Galizia, dove le stalle si affacciano
direttamente sulla via, ruote e catena impregnate dalla polvere di mille sentieri tra vigne e campi di
grano, il contachilometri che cercherà in questi due giorni di arrivare a segnare 1.000.

E si va, verso la fine del mondo!

30 giugno. FINE DELLA TERRA.

Una volta pensavano che qui finisse la terra, questo è il punto estremo della penisola
iberica, si chiama Finisterre e non è neanche un nome così originale, ogni popolo la cui
terra si affacciasse al mare immaginava che non vi fossero altre terre oltre la linea
dell’orizzonte e chiamava in questo modo la propria propaggìne estrema.
Qui finisce il nostro viaggio in bicicletta, dopo circa 960 chilometri di pedalate.
Su e giù per colline e montagne, sotto il sole che riscalda dopo il freddo e la pioggia dei
primi giorni, in mezzo alle vigne prima e ai campi di grano poi, per sentieri perduti nei
boschi o su viottoli di campagna percorsi da trattori, col profumo degli eucalipti o in mezzo
all’odore di letame emanato dalle stalle, superando pellegrini a piedi chini sotto il peso dei
chilometri e degli zaini, dormendo in camerate popolate di russatori selvaggi o in stanzette
linde in albergue nuovi di zecca.
Le ultime immagini del Camino ci vengono dai due giorni impiegati per raggiungere
Finisterre, sotto un cielo azzurro senza nuvole a compensarci del grigio dei primi giorni.
Sole e una temperatura ideale per pedalare in ambienti che sembrerebbero di montagna
se non sapessimo che siamo a meno di due-trecento metri sul livello del mare, paesini
ordinati e mandrie di mucche per le strade di borghi contadini, poi al fondo di una discesa
si materializza la casetta e la famiglia che ci ospitarono tre anni fa, quando, passando per
queste stesse strade, ebbi bisogno di aiuto per sostituire la catena rotta, sotto una pioggia
gelida.
Allora furono gentilissimi, oggi tanto loro quanto io ci siamo ricordati di quell’episodio, il
bimbetto allora in fasce è cresciuto, la stalla sulla soglia della quale effettuammo la
riparazione è sempre là, la macchina parcheggiata nel cortile è cresciuta di cilindrata, a
confermare forse che la sensazione di accresciuto benessere generale di questa zona della
Spagna ha elementi di realtà.
Pasta, come ogni giorno, per affrontare meglio le fatiche pomeridiane, stufato di carne con
patate fritte per schiantare la nostra volontà di pedalare, i piedi nell’acqua fredda di un
torrente che abbassano la temperatura corporea e vivificano mente e corpo e quella pace
che queste colline verdeggianti della Galizia sanno regalare: preludio all’Oceano Atlantico
che vediamo dall’alto, prima che una discesa ripida e pericolosa ci catapulti in basso, lungo
la spiaggia.
E’ bello il quadro, così vinciamo le nostre resistenze e ci gettiamo in acqua: resto senza
fiato!
Un’acqua fredda, fredda, fredda, che mi è impossibile resisterci immerso, esco fuori e i
raggi del sole mi portano un sollievo immediato, ora capisco che cosa vuol dire fare il
bagno nelle acque dell’Atlantico.
Ma anche l’esperienza del bagno nell’Atlantico è compiuta.
A Finisterre ci si viene per vedere l’orizzonte dove cielo e mare si confondono, lassù dove
il faro pare precipitare nelle acque increspate anche noi rimiriamo l’infinito, lanciamo nel
vuoto un paio di scarpe “padane” andate a male che simboleggiano la fine del cammino, ci
scattiamo qualche foto e cominciamo a tornare.
Si chiude con l’ormai abituale cena a base di pesce e frutti di mare, infine, come da
tradizione, sazio e bevuto, lascio che i compagni di viaggio compiano la passeggiata
notturna e li precedo nel letto dell’albergue dove trascorreremo la notte finale del Camino
de Santiago e dell’appendice del Camino di Fisterra.
E’ l’ultima pagina del diario: se qualcuno ha avuto la pazienza di leggerlo, grazie! A me è
piaciuta l’avventura… (continua, forse)