Malgrado tutto, alla fine, dal fondo dello zaino sono riemersi biglietti aerei ad imporre il tempo del ritorno a casa, due mesi e mezzo dopo averla abbandonata.
Gli ultimi giorni in nuova Zelanda sono trascorsi sull’isola del Nord, tra Auckland e Bay of Islands, dove, dimenticate le camminate delle settimane precedenti, abbiamo cercato riposo e bagni sulle spiagge più rinomate del paese.
Ampie baie, isolette, paesi più o meno movimentati, acque pulite, immaginando di fronte a sé la distesa sconfinata dell’Oceano Pacifico, punteggiata delle isole della Polinesia, nomi mitici ad evocare luoghi da sogno -Fiji, Tahiti, Bora Bora – mai avuti così vicini.
Per chiudere il giro una puntata sulla costa occidentale, attraversando la foresta dei kauri, un albero secolare presente solo in Nuova Zelanda, che grazie all’isolamento geografico ha mantenuto una biodiversità unica di flora e fauna.
Alberi enormi, decine di metri di altezza, il più alto arriva a 51, tronchi fino a 15 metri di circonferenza, vecchi di circa duemila anni, i neozelandesi ne proteggono con cura i superstiti, dopo anni in cui il fabbisogno di legname per farne navi e abitazioni li aveva decimati.
Infine Auckland, punto di arrivo a inizio mese e da dove tra poche ore partirò per percorrere a ritroso il tragitto dell’andata, precedendo di due giorni Giuseppe e Leo, impegnati in un secondo concerto di Bruce Springsteen, prima di imbarcarsi anche loro per l’Italia.
Non so come farò a starne senza, mi hanno scarrozzato, grazie alla loro patente internazionale che io non ho fatto in tempo a prendere, per oltre tremila chilometri, mi mancherà la loro ansia da concerti – da vedere e di cui acquistare i biglietti alla esatta ora di apertura della vendita, mesi prima dell’evento.
Mi mancheranno le loro uscite serali con relativi rientri alla base immalinconiti dall totale assenza di una qualsiasi forma di vita a cui avvicinarsi e di una birra da scolarsi in compagnia, oltre un certo orario.
Ma mi mancherà soprattutto il loro simpatico modo di farmi sembrare che le passeggiate nelle città fossero come assistere a partite di tennis al rallentatore.
Infatti, come gli spettatori della partita di tennis ruotano in continuazione la testa per seguire la pallina, Giuseppe e Leo ruotano la testa per seguire ogni esponente del gentil sesso che incontrino sulla propria strada, con un movimento che però è sia orizzontale che verticale.
A volte poi gli occhi sbarrati a farmi intuire che qualcosa di abbagliante è apparso, un colpo da maestro di Federer o una reincarnazione di Bjorn Borg.
E mi mancherà della Nuova Zelanda quella sensazione di lontananza che dava il pensare che mentre noi ci si svegliava in Italia ci si apprestava a cenare, l’augurare il buongiorno e ricevere in cambio la buonanotte, l’essere impegnati in una qualche attività quando all’altro capo del mondo si era impegnati a sognare.
È ora di provare ancora una volta l’ebbrezza di attraversare l’incrocio in diagonale, di usare il WiFi free a fianco di una cabina del telefono, di entrare in uno dei numerosi bagni pubblici e trovarli puliti e con la carta igienica, di spendere gli ultimi dollari neozelandesi rimasti, difficile che mi servano per un altro viaggio quaggiù.
Ed è ora di pensare a casa..