25 febbraio. AUCKLAND.

Malgrado tutto,  alla fine,  dal fondo dello zaino sono riemersi biglietti aerei ad imporre il tempo del ritorno a casa,  due mesi e mezzo dopo averla abbandonata.

Gli ultimi giorni  in nuova Zelanda sono trascorsi sull’isola del Nord,  tra Auckland e Bay of Islands,  dove, dimenticate le camminate delle settimane precedenti,  abbiamo cercato riposo e bagni sulle spiagge più rinomate del paese.

Ampie baie,  isolette,  paesi più o meno movimentati,  acque pulite, immaginando di fronte a sé la distesa sconfinata dell’Oceano Pacifico,  punteggiata delle isole della Polinesia, nomi mitici  ad evocare luoghi da sogno -Fiji,  Tahiti,  Bora Bora – mai avuti così vicini.

Per chiudere il giro una puntata sulla costa occidentale,  attraversando la  foresta  dei kauri, un albero secolare presente solo in Nuova Zelanda,  che grazie all’isolamento geografico ha mantenuto una biodiversità unica di flora e fauna.

Alberi enormi,  decine di metri di altezza,  il più alto arriva a 51,  tronchi fino a 15 metri di circonferenza, vecchi di circa duemila anni, i neozelandesi ne proteggono con cura i superstiti,  dopo anni  in cui il fabbisogno di legname per farne navi e  abitazioni li aveva decimati.

Infine Auckland,  punto di arrivo a inizio mese e  da dove tra poche ore partirò per percorrere a ritroso il tragitto dell’andata,  precedendo di due giorni Giuseppe e Leo, impegnati in un secondo concerto di Bruce Springsteen,  prima di imbarcarsi anche loro per l’Italia.

Non so come farò a starne senza,  mi hanno scarrozzato,  grazie alla loro patente internazionale che io non ho fatto in tempo a prendere, per oltre tremila chilometri,  mi mancherà la loro ansia da concerti  – da vedere e di cui acquistare i biglietti alla esatta ora di apertura della vendita, mesi prima dell’evento.

Mi mancheranno le loro uscite serali con relativi rientri alla base immalinconiti dall totale assenza di una qualsiasi forma di vita a cui avvicinarsi e di una birra da scolarsi in compagnia, oltre un certo orario.

Ma mi mancherà soprattutto il loro simpatico modo di farmi sembrare che le passeggiate nelle città fossero come assistere a  partite di tennis al rallentatore.

Infatti,  come gli spettatori della partita di tennis ruotano in continuazione la testa per seguire la pallina,  Giuseppe e Leo ruotano la  testa per seguire ogni esponente del gentil sesso che incontrino sulla propria strada,  con un movimento che però è sia  orizzontale che verticale.

A volte poi gli occhi sbarrati a farmi intuire che qualcosa di abbagliante è apparso,  un colpo da maestro di Federer o una reincarnazione di Bjorn Borg.

E mi mancherà della  Nuova Zelanda quella sensazione di lontananza che dava il pensare che mentre noi ci si svegliava in Italia ci si apprestava a cenare, l’augurare il buongiorno e ricevere in cambio la buonanotte, l’essere impegnati in una qualche attività quando all’altro capo del mondo si era impegnati a sognare.

È ora di provare ancora una volta l’ebbrezza di attraversare l’incrocio in diagonale, di usare il WiFi free a fianco di una cabina del telefono,  di entrare in uno dei numerosi bagni pubblici e trovarli puliti e  con la carta igienica,  di spendere gli ultimi dollari neozelandesi rimasti, difficile che mi servano per un altro viaggio quaggiù.

Ed è ora di pensare a casa..

21 febbraio. CHRISTCHURCH

Toccato il punto più a sud del nostro giro della Nuova Zelanda,  è iniziata la risalita verso Christchurch e al tempo stesso l’ultima settimana di vacanza agli antipodi.

Abbiamo goduto di giornate piene di sole,  qui nel Sud,  un sole che ha esaltato la bellezza di tutti i luoghi che abbiamo visto sia quelle dove ci siamo soffermati che quelli dove siamo stati solo di passaggio.

Terre aride alternate a boschi, colline senza fine,  laghi incastonati fra montagne che vi si specchiano,  il fiordo del Milford Sound dove l’acqua del mare di Tasmania s’insinua per chilometri in mezzo alle montagne, le catene montuose sulle cui cime la neve ricorda che questo paese tanto lontano ha tante cose in comune con l’Italia.

A Dunedin la  nebbia sulle alture intorno alla città si dissolve non appena tenta,  spinta dal vento, di arrivare al mare, quel vento che in spiaggia ci riempie di sabbia,  la stessa che placidi leoni marini  smuovono pigramente per rinfrescarsi dai raggi del caldo sole estivo,  raccontano che ci sono anche colonie di pinguini ma non ci è dato di vederne alcuno, forse non è l’ora giusta o forse si mostrano solo a pagamento,  visto che in alcuni siti ne garantiscono la visione dietro pagamento di una cospicua somma di dollari neozelandesi.

La città di Christchurch che raggiungiamo nel tardo pomeriggio ci lascia stupiti per l’aria di distruzione che ancora ne pervade il centro devastato da un pauroso terremoto che nel 2011 provocò ingenti danni materiali e ben 181 vittime.

Vedi le immagini del campanile accanto alla cattedrale e guardi il vuoto che vi è ora al suo posto,  la cattedrale accartocciata su se stessa,  i piccioni albergano al suo interno,  edifici sventrati accanto a costruzioni nuovissime, il terremoto ha generato una desolazione che è difficile raccontare.

La sensazione è di abbandono, ma al tempo stesso i profili delle gru testimoniano che si intende ricostruire; tuttavia al momento prevale il vuoto che non bastano i palazzi di banche e assicurazioni a riempire,  non esiste più un centro storico,  una via dove la gente passeggia tra vetrine di negozi, di giorno vi è una animazione che, via i turisti e chiusi gli uffici, lascia il posto ad una solitudine che invano cercano di colmare i pochi locali che hanno riaperto.

Intanto Giuseppe e Leo si godono il concerto di Bruce Springsteen, nessun biglietto rimediato all’ultimo minuto, a me non resta che andare alla ricerca di cibo, stasera la bottiglia di vino mi parrebbe esagerata.

18 febbraio. LUMSTEN.

Il sole ci ha finalmente tenuto compagnia in questi giorni nella parte meridionale dell’isola del sud,  una volta lasciata la costa per addentrarci nell’interno,  valicando la catena montuosa delle Alpi del Sud.

Il paesaggio cambia nel giro di poche decine di chilometri,  scompaiono i boschi di conifere sempreverdi e la vegetazione  si riduce ad arbusti ed erba ingiallita,  in cui si aprono quasi all’improvviso le oasi di Wanaka e di Queenston,  due vivaci cittadine in riva a laghi che si estendono per decine di chilometri tra montagne, i cui versanti spesso  vi finiscono dentro senza lasciare spazio a pianure e spiagge.

 Wanaka e Queenston accolgono torme di vacanzieri,  l’affollamento le rende brillanti come le grandi città,  le vie sono popolate di gente,  ristoranti, bar e pub non mancano e non chiudono alle nove di sera,  anche i negozi abbondano e la merce in vendita soddisfa le esigenze dei turisti che vi trovano le pecore di peluche e le divise degli All Black,  gli oggetti maori fatti a mano e i kiwi (uccello simbolo della Nuova Zelanda) in legno o in vetro, oltre che il portafoglio un pochino più vuoto.

 A Wanaka azzardiamo un trekking,  che  con una camminata di due ore e mezza su una ripida salita ci porta ad ammirare una spettacolare veduta sul lago sottostante,  in lontananza le cime innevate delle Alpi del Sud, non c’è una nuvola e una fresca brezza riduce il disagio della faticosa scalata.

L’ostello a Queenston ci regala la sorpresa di un vero appartamento con due stanze e cucina,  che peraltro non sfruttiamo visto che scegliamo di cenare con un enorme hamburger comprato nel locale dove la coda di clienti in attesa ci fa pensare a una buona qualità del cibo.

Mentre Giuseppe  ed io dedichiamo la nostra attenzione alla cittadina e al suo piacevole centro, Leo se ne va a farsi il bungee jumping agognato fin dal giorno in cui è sbarcato in Nuova Zelanda ( a livello ludico, questa attività è nata proprio qui),   un lancio a capofitto verso il fiume che scorre 134 metri sotto, adrenalina a mille,  meno di nove secondi per chiudere il volo,  frenato dalle funi che ti imbragano e ti fanno oscillare a  testa in giù a pochi metri dalle acque,  prima di essere tirato su alla piattaforma di partenza.

I nostri programmi devono fare quotidianamente i conti con la penuria di camere disponibili nelle località ideaIi, così decidiamo di fermarci a distanza considerevole dalla meta che ci eravamo prefissati di raggiungere, Lumsten è un piccolo paese lungo la Route 6 che scende fino all’estremo sud,  poche case, qualche motel, un’area verde per campeggiatori e camper che vi sostano senza i problemi che anche per loro vi sono nelle aree più vicine ai siti di interesse, un bar dove il bancone è una vecchia Dodge anni 50,  le solite casette basse,  solo le strutture tipo motel hanno un piano rialzato, da queste parti non conoscono gli ascensori. 

La locandina esposta sulla porta del locale pubblicizza il campionato del mondo di tosatura delle pecore che si terrà in marzo: sarà un vero peccato che in quella data saremo ormai tornati a casa.

15 febbraio. HAAST.

Senza linea telefonica e senza internet ti senti un po’  fuori dal mondo anche se ti trovi in Nuova Zelanda,  Paese che non viene certo annoverato fra quelli in via di sviluppo.

Eppure tutto stasera depone a favore dell’ isolamento,  alle dieci la signora dell’ostello dove abbiamo trovato la solita camera con un  letto matrimoniale e uno  a castello ci invita a  lavare i piatti e lasciare libera la cucina, quando noi,   presi dalla discussione sul programma del giorno successivo,  manco ci eravamo resi conto che intorno a noi e alla nostra pasta con tonno,  pomodori e  cipolle si era fatto il vuoto.

Lavati i piatti, lasciamo il  nostro rifugio per cercare un locale dove bere una birra e ammazzare il tempo prima di andare a letto e  dobbiamo usare la torcia del cellulare per vedere dove mettiamo i piedi,  nessuna  luce,  il buio pesto ci induce a muoverci con l’auto.

Il pub citato dalle guide chiude alle ventuno,  proseguiamo, solo luci dei motel, un caffè bar fa orario dalle cinque del mattino alle sette di sera,  quasi quasi è più vicino all’orario di apertura che non a quello di chiusura, non c’è una persona in giro e la via di casa è l’unica opzione.

Poi volgi gli occhi verso il cielo e scopri le stelle,  la meraviglia della volta celeste affollata da una miriade di stelle come è impossibile vedere laddove l’inquinamento luminoso non permette di assistere a questo spettacolo sublime.

La Via Lattea si avvicina alla terra,  le stelle si vedono luminosissime benché lontane anni e anni luce, il mistero dell’universo ci fa riflettere sul nostro essere piccoli e insignificanti componenti dello stesso.

Il villaggio di Haast è il punto di approdo  reso possibile della gentilezza della signora che gestisce l’ostello dove abbiamo passato la notte, la quale con due telefonate ci sistema per le due notti successive,  permettendoci di gestire al meglio le attività della giornata.

I ghiacciai che arrivano fin quasi  al livello del mare non ci entusiasmo li si può vedere senza troppo avvicinarsi a meno che tu non voglia camminarci su alla modica cifra di circa trecentocinquanta euro,  trasporto in elicottero e attrezzatura compresi; noi ovviamente non dilapidiamo quella cifra, camminiamo fin dove è possibile per vederli da vicino, la solita scarpinata quotidiana alla quale ci siamo abituati, qui è tutto un trekking, i sentieri più importanti prevedono di stare fuori più giorni e dormire nei rifugi prenotati con adeguato anticipo, ma le nostre tre settimane abbondanti sono un ostacolo insormontabile, capiamo strada facendo di dover rinunciare a molte cose pur essendo sempre in movimento.

E siamo ancora in attesa di una giornata di sole pieno, senza la pioggia: credevo che qui fosse estate.

13 febbraio. POHARA.

La Nuova Zelanda, Repubblica ex colonia inglese che ancora  riconosce la regina Elisabetta come capo di Stato,  è formata da due grandi isole separate da un ampio canale che abbiamo attraversato in traghetto per passare all’isola del Sud dove resteremo per i prossimi giorni.

Dopo le fatiche del Tongariro Alpine Crossing, con una mattinata di auto tra dolci colline popolate da mucche e pecore, puntini sul verde dei prati, foreste di conifere talmente uniformi da sembrare artificiali nella loro geometricità, piccoli paesi sviluppati lungo la statale, eravamo giunti a Wellington, la capitale amministrativa,  città originale sia nell’architettura che mette vicini edifici di stile vittoriano e palazzi moderni, sia nello stile di vita che a prima vista sembra assai più informale di quanto non sia a Auckland,  il cuore economico.

L’abbigliamento non bada troppo alle apparenze, molte persone girano in bicicletta con il casco che qui è obbligatorio,  una vita notturna che il venerdì porta frotte di giovani in giro nei locali a contravvenire a quelle regole che fanno sì che nelle sere precedenti una giornata lavorativa attività e divertimenti non vadano praticamente oltre il calar del sole.

Lasciata alle spalle Wellington, nel Malborough assaggiamo i famosi vini per cui la regione è menzionata nelle guide turistiche, meritevoli dell’apprezzamento,  camminiamo per sentieri in mezzo a foreste affacciate sul mare, raccogliamo cozze che la sera cuciniamo e spazzoliamo in compagnia di uno Chardonnay,  attraversiamo in auto zone dove alla presenza umana sempre più rada fanno da contrappasso  mucche e pecore in quantità sempre maggiore, mentre il cielo sopra di noi ci porta pioggia e sole in un’alternanza che ti consente di sperare in una bella giornata anche quando ti alzi la mattina con nuvole nere e pozzanghere in strada.

È così che oggi ad un risveglio autunnale e una prima mattinata di pioggia che pareva senza fine, un orizzonte nero che sembrava un muro contro cui saremmo andati a sbattere,  il sole ci ha trasportati attraverso colline verdi e alberi piegati dal vento a ritrovarci su una spiaggia sferzata dallo stesso vento che solleva sabbia e la deposita sulle dune in una mescolanza di grigio e dorato che,  unita al muggire delle onde di un mare agitato che si insinua tra le scogliere conferisce all’ambiente un aspetto cupo e allo stesso tempo affascinante.

Cerchiamo le balene spiaggiate,  non le troviamo,  ormai quel che è stato è stato e non abbiamo più alcuna possibilità di dare una mano neppure volendo, ma  sappiamo dalla gente del posto che ne sono morte duecento circa e almeno altrettante i volontari accorsi qui numerosi il giorno della sciagura sono riusciti a rimettere in mare.

Una catastrofe naturale inspiegabile,  le balene arrivano vicino a riva,  la bassa marea le sorprende e quelle povere bestie non sono più in grado di ritornare in acqua e muoiono soffocate.

Sulla via del ritorno a casa ci concediamo il lusso di un cioccolatino artigianale di Rose Grow;  in un minuscolo negozio all’interno di una casetta con giardino nello stile tipico di queste aree rurali, una signora prelevata da un romanzo dell’Ottocento,  in un casto abito da collegiale,  un basco nero appoggiato di striscio su capelli neri, un trucco terreo su labbra con rossetto intonato all’abito ci serve un cioccolatino al rum inaspettato e per questo ancora più apprezzato.

Una birra artigianale in un bar lungo la strada,  qualche turista come noi mescolato ad avventori locali, uomini rudi con barba e stivaloni ai piedi, giaccone e pantaloni di chi lavora in campagna,  infine la consueta cena in casa quando ormai fuori la notte è buia ha assorbito tutta la vita del paesino di Pohara.

9 febbraio. TONGARIRO NATIONAL PARK

È valsa la pena aspettare nella solitudine del parco del Tongariro che il tempo volgesse al bello per salire sulla montagna che ha fatto da set per il film della serie del Signore degli Anelli.

 Il Tongariro alpine cross ti porta 

sull’altopiano lunare con una camminata di circa venti chilometri che in otto ore ti fa attraversare ambienti molto diversi fra di loro ma legati da una incredibile suggestione.

Ti raccomandano di vestirti come se dovessi andare al Polo Nord, tutto ciò che hai di pesante te lo infili così che anche se la tua eleganza lascia a desiderare non patirai quel freddo che ti eri preparato ad affrontare.

La salita inizia dal parcheggio dove ti lasciano le navette che fanno la spola fra gli alberghi e il punto di partenza, poi diventa più faticosa, i gradini aiutano,  sull’altopiano calano le nuvole e le persone immerse della nebbia appena sfiorata da rari raggi di sole sembrano fantasmi di anime in pena che si aggirano in un girone dantesco.

Spettri che camminano in una sola direzione, verso laghi e craterii vulcanici che all’improvviso appaiono quando il vento spinge le nuvole a coprire un’altra parte di mondo lasciando scoperti paesaggi tanto spettacolari quanto irreali.

Dopo la salita si inizia a scendere e la sabbia lavica grigia scivola sotto i tuoi piedi,  devi lasciarti trasportare a valle senza opporre resistenza, ma il paesaggio  ti obbliga a frenare e a guardarti intorno, macchine fotografiche impazzite a tentare invano di fissare istanti e luoghi che non puoi raccontare con parole e immagini. 

Devi vederli gli spazi deserti delle vallate chiuse tra pareti nere  dalle quale si sono staccate le pietre che si sono depositate sul fondovalle, i laghetti immacolati, le nuvole di fumo che punteggiano i fianchi della montagna, devi sentirlo l’odore di zolfo che ogni tanto penetra anche le tue narici chiuse da raffreddore, il vento che soffia sui crinali e piega in una sola direzione gli steli di quei pochi arbusti che osano sfidarlo.

Ogni passo è un’emozione, ti sembra di stare sulla Luna o in un film,  le rocce laviche hanno forme bizzarre che emergono dalla nebbia come esseri soprannaturali, i miei compagni di avventura mi parlano del Signore degli Anelli,  diventiamo Frodo Aragorn e Gandalf, dovrò recuperare al ritorno i film della saga per rivedere questi luoghi incantati.

Finisce l’altopiano ed inizi la infinita discesa verso valle, lunghi chilometri su sentieri di ottima fattura, vedi sotto di te i tornanti sui quali le formichine si muovono rapide, lontano laghi e colline, poi diventa boscaglia fitta, i camminatori  hanno un’area sempre più sfatta, l’andatura spesso appare sofferente e le lunghe ore di cammino  si fanno sentire, quando però raggiungi il parcheggio sei quasi dispiaciuto di aver lasciato questo posto magico.

Hyundai9 febbraio. TONGARIRO NATIONAL PARK

È valsa la pena aspettare nella solitudine del parco del Tongariro che il tempo volgesse al bello per salire sulla montagna che ha fatto da set per il film della serie del Signore degli Anelli.

 Il Tongariro alpine cross ti porta 

sull’altopiano lunare con una camminata di circa venti chilometri che in otto ore ti fa attraversare ambienti molto diversi fra di loro ma legati da una incredibile suggestione.

Ti raccomandano di vestirti come se dovessi andare al Polo Nord, tutto ciò che hai di pesante te lo infili così che anche se la tua eleganza lascia a desiderare non patirai quel freddo che ti eri preparato ad affrontare.

La salita inizia dal parcheggio dove ti lasciano le navette che fanno la spola fra gli alberghi e il punto di partenza, poi diventa più faticosa, i gradini aiutano,  sull’altopiano calano le nuvole e le persone immerse della nebbia appena sfiorata da rari raggi di sole sembrano fantasmi di anime in pena che si aggirano in un girone dantesco.

Spettri che camminano in una sola direzione, verso laghi e craterii vulcanici che all’improvviso appaiono quando il vento spinge le nuvole a coprire un’altra parte di mondo lasciando scoperti paesaggi tanto spettacolari quanto irreali.

Dopo la salita si inizia a scendere e la sabbia lavica grigia scivola sotto i tuoi piedi,  devi lasciarti trasportare a valle senza opporre resistenza, ma il paesaggio  ti obbliga a frenare e a guardarti intorno, macchine fotografiche impazzite a tentare invano di fissare istanti e luoghi che non puoi raccontare con parole e immagini. 

Devi vederli gli spazi deserti delle vallate chiuse tra pareti nere  dalle quale si sono staccate le pietre che si sono depositate sul fondovalle, i laghetti immacolati, le nuvole di fumo che punteggiano i fianchi della montagna, devi sentirlo l’odore di zolfo che ogni tanto penetra anche le tue narici chiuse da raffreddore, il vento che soffia sui crinali e piega in una sola direzione gli steli di quei pochi arbusti che osano sfidarlo.

Ogni passo è un’emozione, ti sembra di stare sulla Luna o in un film,  le rocce laviche hanno forme bizzarre che emergono dalla nebbia come esseri soprannaturali, i miei compagni di avventura mi parlano del Signore degli Anelli,  diventiamo Frodo Aragorn e Gandalf, dovrò recuperare al ritorno i film della saga per rivedere questi luoghi incantati.

Finisce l’altopiano ed inizi la infinita discesa verso valle, lunghi chilometri su sentieri di ottima fattura, vedi sotto di te i tornanti sui quali le formichine si muovono rapide, lontano laghi e colline, poi diventa boscaglia fitta, i camminatori  hanno un’area sempre più sfatta, l’andatura spesso appare sofferente e le lunghe ore di cammino  si fanno sentire, quando però raggiungi il parcheggio sei quasi dispiaciuto di aver lasciato questo posto magico.

7 febbraio. PARCO del TONGARIRO.

Non è stato facile lasciare Auckland, le  vacanze estive dei neozelandesi ci hanno costretti a ripiegare su un auto al posto del camper che avremmo voluto per godere della maggiore autonomia possibile.

Ci siamo fatti una cultura a 360 gradi sulle agenzie di autonoleggio di camper, poi è finita con una Toyota Corolla che ci porterà per la prima settimana in giro per l’isola del Nord prima di traghettare nel selvaggio Sud.

C’è qualcosa di Islanda in questo paese agli antipodi, geyser e fumarole, piscine termali dove immergersi per rilassare corpo e mente in acqua a 40 gradi, sotto un cielo che quando non ci sono nuvole è azzurro da cartolina, interminabili strade deserte, i quattromilioni di abitanti dispersi su un territorio che non è molto più piccolo dell’Italia.

Dopo qualche giorno di spaesamento impariamo a convivere con la realtà neozelandese, ci adattiamo agli orari che prevedono la cena non oltre le nove, alle dieci le strade già poco affollate si spopolano del tutto, che sia Auckland o una cittadina di provincia poco cambia.

Cominciamo a frequentare i supermercati per sfuggire ai costosissimi ristoranti dove la bottiglia di vino più economica costa più di venti euro, anche se ci è impossibile evitare i salassi che ci aspettano quando si vuol vedere un geyser o entrare in una grotta.

È diventato fedele compagno di viaggio il buon vino neozelandese, Merlot, Pinot Nero, Sirah  accompagnano i nostri pasti su tavoli da picnic più soddisfacenti dei pranzi al ristorante.

 Ora siamo arrivati al parco del Tongariro, la pioggia battente ci impedirà di compiere domani il trekking tra crateri e laghidi origine vulcanica, dovremmo aspettare che le condizioni atmosferiche migliorino,  non possiamo andarcene senza provarci.

Pernottiamo in una struttura in mezzo alla campagna, ci accoglie una coppia di mezza età che pare uscita da un film horror,  lei corpulenta, capelli biondi scarmigliati, lui un omone rubizzo con la pelle bruciata dal vento, ci accompagnano alla  camera,  poi attraverso un labirinto alla cucina, ai servizi igienici, alla sala relax con biliardo e un armadio che nasconde un’altra stanza misteriosa, sala cinematografica, ad alimentare il mistero che aleggia nei corridoi e nelle stanze dell’ostello.

La pioggia scende ancora mentre Giuseppe e Leo si sfidano a biliardo nel silenzio della notte nerissima fuori dalle finestre.

3 Febbraio. AUCKLAND.

Arrivi in un paese che non conosci dove ti hanno detto che il modo migliore per viaggiare è prendere una macchina a noleggio.

La signora che gestisce il lodge in cui passi la notte ti suggerisce di rivolgerti a chi può soddisfare il tuo fabbisogno, il gestore di un hotel per backpackers, il quale ti illustra i molteplici benefici del noleggio di un mini camper per tre persone,  mostrandoti anche le immagini del mezzo.

Convinti della validità della soluzione proposta,  prenoti il mezzo per l’indomani lasciando un acconto a garanzia e te ne vai tranquillo pensando di aver risolto rapidamente quello che sarebbe potuto essere un problema logistico.

L’indomani mattina ti presenti all’agenzia di noleggio a ritirare il camper,  ti ci vuole un bel po’ di tempo e pazienza per compilare i documenti,  acquistare gli extra indispensabili (coperte e cuscini, secondo guidatore),  poi finalmente te ne vai al camper e,  sorpresa!,  ci sono tre cuscini, tre coppie di lenzuola, tre coperte, ma solo due materassi quando noi siamo in tre.

Perplesso, chiedi spiegazioni e con il più grande distacco quei figli di buona donna ti dicono che il camper è da due posti,  guardandoti pure male quando provi a spiegare la situazione.

Resti allibito e senza parole di fronte a cotanta demenza, ti riprendi i tuoi soldi (tranne l’anticipo, per ora…) e consideri che il paese in cui ti succede non è l’Italia così vituperata per la presunta furbizia di alcuni operatori turistici, paragonata alla proverbiale onestà dei popoli anglosassoni, ma la Nuova Zelanda che in questo contesto virtuoso ci si pone di diritto.

Ed è curioso che dopo un mese e passa trascorso in paesi nei quali ti viene consigliato di guardarti le spalle da ogni sorta di potenziale malfattore tu abbassi la guardia in una nazione definita sicura e in men che non si dica ti ritrovi truffato bellamente.

Nel frattempo il tempo è scappato via,  nel pomeriggio hai prenotato attività costose,  non puoi permetterti ulteriori ritardi,  quindi affitti una macchina al volo  – €106 per un giorno -,  rimandi a domani la soluzione del problema, ma finalmente,  quando ormai è quasi mezzogiorno, prendi la via verso sud,  Waimoto prima tappa.

Alla pioggia battente dell’inizio, durante il lungo trasferimento si sostituisce un sole caldo sulle strade fra le colline ed il cielo,  l’amarezza un po’ sbollisce e lo spettacolo delle lucciole nella grotta sotterranea di Waitomo ti lascia a bocca aperta.

Sali su una barca, guardi in su e quello che vedi è una stellata da alta montagna o da isola sperduta in mezzo all’oceano.

Milioni di stelle sulla volta celeste ma non è il cielo, sei all’interno di una grotta buia come la notte e quelle che sembrano stelle sono le larve un insetto luminescente che,  appese al soffitto dell’antro, creano un effetto magico che quasi ti fa dimenticare di aver pagato circa trenta euro.

In Nuova Zelanda ci si ritrova fare i conti con prezzi altissimi, dormi in camerate miste con letti a castello per oltre venti euro, senza un armadietto nè una sedia o un tavolino su cui appoggiare le tue ormai misere cose, nella doccia non vi è un gancio a cui appendere biancheria e asciugamani,  mentre ti chiedono pure quattro euro per ventiquattro ore di connessione a Internet,  quando nella più modesta delle guesthouse cingalesi o filippine te lo forniscono gratuitamente.

E  questi sarebbero i popoli “civili” da cui prendere esempio..

Ma mi faccia il piacere!