Città del Messico.

Dopo giorni e giorni di cielo grigio e piovoso,  stamane  l’ultima luna della  notte ha lasciato spazio ad un’alba promettente di sole, già sorgente dietro Superga al momento della partenza da Caselle.
Destinazione Madrid, sosta di poche ore, il tempo di raggiungere in tutta tranquillità il terminal 4S nell’enorme aeroporto di Barajas e via verso il lontano Messico.
Solo oceano sotto di noi per ore, pranzo, merenda e cena, intervallati da dormite e “La polvere del Messico” di Pino Cacucci per immaginare questo grande Paese,  l’America,  Florida, golfo del Messico,  si vola dodici ore e non viene ancora notte, sette ore di fuso orario di differenza rendono la giornata infinita.

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Il volo arriva addirittura in anticipo sull’orario previsto,  nella discesa sorvola quartieri della megalopoli,  sfiorando la punta dei grattacieli, l’aeroporto si trova nel cuore della città,  è già buio quando ne esco per infilarmi in un taxi che procede a passo d’uomo in un traffico intenso  ma ordinato su una strada ampia a doppia carreggiata, fiancheggiata da alberghi, mentre sopra di noi il viavai di aerei che atterrano e decollano è continuo.
Ci mette più di un’ora a depositarmi davanti all’ostello il povero tassista che, se non avesse il navigatore sul cellulare, non ce la farebbe mai a trovare l’ago nel pagliaio che è via Cozumel nel dedalo di strade dell’immensa Città del Messico.
Prime tortillas,  tacos, cerveza Indio, chiedo cibi non piccanti, prima che con Lorena, la mia guida locale, lasciamo il locale facciamo in tempo a respirare gli effluvi della tostatura delle erbe da cui si ricavano queste spezie che, inalati, ci provocano una immediata tosse.
L’aria della sera ai 2300 di altitudine si è fatta fresca, è ora di un letto: buonanotte, Messico.